Per il primo appuntamento scegliemmo un ristorante giapponese vicino casa sua, in zona CittĆ Studi. Quando la incontrai davanti al locale, Maia mi salutĆ² con la naturalezza sbrigativa che si riserva a un conoscente di vecchia data, senza grandi cerimonie o frasi di circostanza.
Era esile, piccola di statura, con le spalle minute e le mani sottili. Il suo viso continuĆ² a sembrarmi familiare, ma proprio non riuscivo a inquadrarlo. Fece subito caso allāombra di barba che mi sporcava le guance: le dissi che il mio rasoio elettrico aveva smesso di funzionare due giorni prima, e stavo pensando di lasciarla crescere.
Ā«CosƬ la gente non ti riconoscerĆ piĆ¹ per stradaĀ» commentĆ².
Ā«MagariĀ» risposi.
Lei inclinĆ² la testa di lato, squadrandomi: Ā«PerchĆ©, succede spesso?Ā» mi chiese.
Ā«Cosa?Ā»
Ā«Ti riconoscono per strada?Ā»
Ci pensai un attimo. Una volta un barista mi aveva riconosciuto, e aveva insistito per offrirmi il caffĆØ. Mi aveva chiesto di posare per una foto in cui fingevo di dargli il cappotto, mentre lui si stringeva le braccia come se morisse dal freddo. Fu lāultima volta che entrai in quel bar.
Ā«No, non per stradaĀ» risposi.
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