Mani da origami

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Maia fu lā€™unica a distinguersi. Come foto profilo aveva un origami a forma di gru, mentre gli altri scatti la ritraevano di spalle o in penombra, evidenziando una corporatura snella e un naso graziosamente aquilino. In lei cā€™era qualcosa di familiare, ma non riuscivo a capire cosa fosse.

Nel suo primo messaggio mi chiese se quelli dellā€™esperimento sociale mi avessero restituito il cappotto. RiuscƬ a strapparmi una risatina, che tradussi con lā€™emoji di un sorrisone a bocca spalancata. Le risposi che il mio cappotto era esposto al museo dei diritti umani di Ginevra, anche se non sapevo se esistesse davvero un museo dei diritti umani a Ginevra. Maia replicĆ² con una faccina che sghignazzava fino a lacrimare, e io rilanciai con unā€™altra faccina che se la rideva della grossa, gli occhi serrati.
La conversazione andĆ² avanti cosƬ per circa due ore, durante le quali Maia mi raccontĆ² che gestiva una vecchia tipografia con sua sorella, ereditata dal padre, e sfogava la sua passione per gli origami sulle risme di carta che aveva in negozio. Allā€™epoca lavoravo da casa, e le donne reagivano a questa informazione con una vaga diffidenza; ma quando scoprivano che traducevo manuali universitari di critica dello spettacolo e materie affini, riguadagnavo una sorta di rispettabilitĆ  ai loro occhi (chissĆ  perchĆ©, poi). Maia mi chiese cosa avessi studiato, quindi le raccontai dei corsi di laurea in Lettere e Scienze dello Spettacolo, del diploma linguistico e dellā€™Erasmus a Cork. Non era una di quelle pessime conversazioni su Tinder fatte di domande e risposte secche, piĆ¹ simili a un colloquio di lavoro che a una chiacchierata. Alternavamo le informazioni concrete a battute e commenti che si ramificavano in altre direzioni, mentre il tempo passava e io trascuravo il libro di drammaturgia teorica che dovevo tradurre. Proseguimmo cosƬ anche nei giorni successivi. Maia si divertiva a mandarmi immagini di cappotti dalle fogge assurde, consigliandomi di acquistarli per rimpiazzare quello perduto. Io rispondevo con video di origami complicatissimi, sfidandola a realizzarli.
Scherzavamo tanto, raramente le nostre chat erano serie. Una volta mi raccontĆ² della felicitĆ  di suo padre quando la tipografia fu dichiarata ā€œbottega storicaā€ dal comune di Milano, e sembrĆ² rabbuiarsi nel ricordare il genitore. Era morto di aneurisma pochi mesi prima. In quei momenti riaffiorava la mia scarsa brillantezza, mi sorprendevo a rispondere con banalitĆ  e frasi fatte. Sā€™incupƬ anche quando le chiesi se aveva visto lā€™ultimo esperimento sociale, il cui video affollava la mia timeline di Facebook: a Roma, un signore tutto trafelato aveva ignorato una donna che gli chiedeva aiuto per trovare la sua bambina, rispondendole che lui non poteva farci niente. Internet lo stava subissando di insulti, cā€™erano tantissimi meme in cui la sua faccia veniva affiancata ai grandi tiranni della Storia. Maia perĆ² fu evasiva, rispose che non aveva visto nulla e non le interessava. Per fortuna era capace di scartare da un argomento allā€™altro con rapiditĆ  felina, e infatti spostĆ² il discorso sul meme di un gatto che fluttuava nello spazio con le pupille dilatate.

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