āSono in villeggiatura ad Atami, un posto di mare ricco di sorgenti termali, e oggi, con degli amici di Tokyo, farĆ² una gita in barca per andare a vedere le āsireneā del Giappone. Non mi riferisco alle creature per metĆ pesce e metĆ umane, bensƬ alle āamaā, letteralmente ādonne del mareā che si immergono in apnea per raccogliere veri e propri tesori: crostacei, conchiglie preziose e perle.
Se le sirene non esistono, le āamaā sono in via di estinzione e quindi, anche se il mare ĆØ molto mosso e io soffro di mal di mare non mi tiro indietro: la scoperta di queste pescatrici mitologiche val bene un po’ di nausea. Mentre navighiamo mi viene raccontato che il loro apprendistato inizia verso i 12 anni. Raggiungono i 30 metri di profonditĆ e lo fanno piĆ¹ e piĆ¹ volte al giorno fino a quando i loro fisici reggono. La pressione infatti gli rovina i timpani e alla lunga molte hanno problemi di udito. Tra unāonda e lāaltra, nella mia mente inizia a prendere forma unāimmagine: una giovane donna agile che nuota come la principessa Ariel, con i polmoni di Enzo Maiorca e sorda come Beethoven. EmergerĆ in superficie offrendomi perle luminose e bianche come la sua pelle.
Finalmente dopo una buona mezzāora di navigazione arriviamo a una spiaggia e scendiamo. I miei amici sono particolarmente gasati. Io assomiglio per colore e consistenza a unāalga wakame, verdina e gelatinosa. Scendo a terra con poco sostegno sulle gambe e una fortissima nausea, ma tengo duro e chiedo ādove ĆØ la sirena? ā
Passano pochi secondi e da una piccola rimessa sgangherata escono due persone. Un signore di mezza etĆ e una donna anziana. Ci sorridono mentre ci vengono incontro. āSaranno il papĆ e la nonna di Arielā penso tra me e me.
āYuki, ti presentiamo la piĆ¹ brava āamaā di tutto il Giapponeā, mi dicono i miei amici.
āChi? La nonnina?!?ā.
Incredula la osservo bene. Pelle scurissima cotta dal sole, schiena curva ma ampia e solida, gambe simili a due colonne di marmo tanto sono massicce, sguardo velato da un principio di cataratta ma attento, e bellissima dentiera bianca quando mi sorride tendendo sul palmo della sua mano una conchiglia gigante. Ora, le conchiglie mi piacciono per la loro forma e i colori ma non certo per il contenuto. I loro abitanti per me sono dei mostriciattoli che se va bene non hanno antenne e zampette o chele con cui ti pizzicano. Riesco a mangiare solo le cappesante e le vongole se accompagnate con gli spaghetti. In questo la mia metĆ nippo ĆØ totalmente fallimentare visto che i Giapponesi impazziscono per i frutti di mare.
āQuesto abalone ĆØ per te, mangialoā mi dice la nonnina.
La ringrazio e le spiego che io non mangio frutti di mare perchƩ non mi piacciono.
āFelice che ti piaccianoā mi risponde tutta soddisfatta.
āEh no! Ho detto che non mi piacciono!ā
Certo che ĆØ sorda come una campana, penso.
Non faccio in tempo a finire il mio pensiero che ha giĆ aperto la conchiglia per avvicinarla alla mia bocca e mi spiega che si ĆØ appena immersa a 30 metri di profonditĆ apposta per noi. Allāinterno la conchiglia ĆØ meravigliosa, iridescente e madreperlata con la punta a forma di spirale. Ma il suo abitante ĆØ terrificante: un enorme mollusco giallastro e carnoso, dal diametro di almeno 20 centimetri, con tutto attorno un giro di escrescenze verdastro marcio.
āYuki, ĆØ una prelibatezza! Mangiala!ā.
Lāincoraggiamento dei miei amici non mi aiuta: come faccio a mandare giĆ¹ in un solo boccone una cosa che ĆØ piĆ¹ grande di un hamburger?
āLo sai che se lo mangiassi a ristorante ti costerebbe 800 euro?ā incalzano, come se questa informazione dovesse rendermelo piĆ¹ appetibile. Preferirei mangiare 800 euroĀ in banconote, ma purtroppo non ho scelta. La sirena ottuagenaria ha rischiato di perdere completamente lāudito per noi e sarebbe troppo scortese rifiutareā¦coraggio Yuki!
Gnam! Un morso. Gnam! Un altro morso. E giĆ¹ il boccone intero, deglutito senza nemmeno masticarlo tipo foca quando prende al volo il pesce.
Ć fatta, ora convivo felicemente con un Alien.